La riqualificazione professionale dell’atleta di alto livello: un momento su cui riflettere e progettare

L’ingresso nel mondo del lavoro è già di per sé un momento molto delicato per un giovane.
Se poi questo/a giovane è un’atleta di 30/35 anni che dopo un’intensa carriera sportiva si accinge a entrare in quel mondo, quel momento, oltre ad essere delicato, si rivela essere davvero molto complicato.
Ed infatti, se consideriamo l’atleta di alto livello come un “lavoratore sportivo”, il passaggio dalla carriera sportiva a quella – diciamo – tradizionale rappresenta di fatto una sorta di “riqualificazione professionale”: l’atleta che smette di fare l’Atleta è, a tutti gli effetti, un lavoratore non occupato che necessita di essere reinserito in un contesto lavorativo diverso.
Tale inserimento, tuttavia, incontra due principali ostacoli.
Il primo è dato dalla posizione di svantaggio da cui parte l’ex atleta rispetto ai coetanei (che avranno nel frattempo maturato una pregressa esperienza lavorativa) nonché ai giovani neolaureati under 30 la cui assunzione viene oggi agevolata dallo Stato mediante agevolazioni fiscali.
Il secondo, invece, e forse il più importante, interessa l’aspetto mentale ed è dato dal repentino cambio di stile di vita e abitudini che l’atleta dovrà affrontare: cambiamento che, se non preparato ed accompagnato adeguatamente, può avere un forte impatto negativo sull’individuo, chiamato ad abbandonare i panni dell’atleta di alto livello per abbracciare chissà quale nuova identità.
Ed infatti, se taluni considerano la fine della propria carriera sportiva come un’opportunità di sviluppo personale, un momento di rinascita sociale, la maggior parte la considera una fonte di stress, un momento di crisi identitaria che, nel peggiore dei casi, può addirittura trasformarsi in depressione, abuso di alcool e sostanze stupefacenti.

La riqualificazione professionale dell’atleta di alto livello: un momento su cui riflettere e progettare

di Dr. Tommaso Franzoso, Psicologo – Psicoterapeuta – Psicologo dello Sport Venezia Football Academy e Settore Giovanile Venezia Football Club

Dr.ssa Claudia Salvadego
Giurista ed ex giocatrice della nazionale italiana di rugby

L’ingresso nel mondo del lavoro è già di per sé un momento molto delicato per un giovane.
Se poi questo/a giovane è un’atleta di 30/35 anni che dopo un’intensa carriera sportiva si accinge a entrare in quel mondo, quel momento, oltre ad essere delicato, si rivela essere davvero molto complicato.
Ed infatti, se consideriamo l’atleta di alto livello come un “lavoratore sportivo”, il passaggio dalla carriera sportiva a quella – diciamo – tradizionale rappresenta di fatto una sorta di “riqualificazione professionale”: l’atleta che smette di fare l’Atleta è, a tutti gli effetti, un lavoratore non occupato che necessita di essere reinserito in un contesto lavorativo diverso.
Tale inserimento, tuttavia, incontra due principali ostacoli.
Il primo è dato dalla posizione di svantaggio da cui parte l’ex atleta rispetto ai coetanei (che avranno nel frattempo maturato una pregressa esperienza lavorativa) nonché ai giovani neolaureati under 30 la cui assunzione viene oggi agevolata dallo Stato mediante agevolazioni fiscali.
Il secondo, invece, e forse il più importante, interessa l’aspetto mentale ed è dato dal repentino cambio di stile di vita e abitudini che l’atleta dovrà affrontare: cambiamento che, se non preparato ed accompagnato adeguatamente, può avere un forte impatto negativo sull’individuo, chiamato ad abbandonare i panni dell’atleta di alto livello per abbracciare chissà quale nuova identità.
Ed infatti, se taluni considerano la fine della propria carriera sportiva come un’opportunità di sviluppo personale, un momento di rinascita sociale, la maggior parte la considera una fonte di stress, un momento di crisi identitaria che, nel peggiore dei casi, può addirittura trasformarsi in depressione, abuso di alcool e sostanze stupefacenti.

(leggi articolo completo su SdP n.72/2022 – pag. 18)