Psicologia dello sport e disabilità un incontro fatto di sogni ed emozioni

L’articolo che mi accingo a scrivere, vuole essere un passo verso una riflessione per parlare di sport, disabilità e psicologia.
Lo sport come contesto educativo e di crescita anche nella disabilità permette di conoscersi e riconoscersi come atleti ma soprattutto come persone. Questo fa attivare uno spazio di condivisione e di esperienze uniche, ricche di sogni ed emozioni. Il tutto mette in gioco sia l’aspetto delle competenze tecniche ma anche quelle psicologiche. Il cercare di potenziare le proprie capacità fa si che si possa raggiungere gli obiettivi di migliorare sé stessi e la propria consapevolezza in ambito sia sportiva ma anche e soprattutto personale. Ecco perché il binomio psicologia dello sport e disabilità è un incontro della normalità fatto di emozioni e di sogni che solo se condivisi con l’ambiente circostante, diventano importanti per l’atleta. In linea generale, una pratica sportiva può aiutare sensibilmente qualsiasi essere umano sotto vari aspetti, da quello fisico a quello psicologico, per arrivare a quello socio-relazionale.
Infatti, fare sport è un’opportunità di rendersi protagonisti e andare oltre i propri limiti. Cercare di far sì che ci sia una continuità della prestazione, una capacità di riprendersi dalle sconfitte per rendersi consapevoli di ciò che si vuole e si deve migliorare ed infine entrare in un’ottica di fiducia sia verso sé stessi e di chi circonda l’atleta. Queste variabili qui sopra riportate, ci introducono e ci danno il termometro di quanto sia importante la relazione e il pensiero sulla tematica della psicologia dello sport e disabilità.
Nelle persone con disabilità ma, non solo, i benefici dello sport risultano ancora più importanti in quanto permettono all’individuo di uscire da schemi e muri mentali, di diminuire le emozioni negative (come ansia, stress e depressione) e di migliorare le capacità di risposta agli stimoli. Insomma, la pratica sportiva permette di conoscere meglio se stessi e il proprio corpo, anche in rapporto al mondo circostante, tanto da far emergere e affinare le proprie risorse, potenzialità ed emozioni, così come i propri limiti. Inoltre, aiuta la persona a gestire al meglio le situazioni di crisi. Tutto ciò accade perché la pratica sportiva è in grado di dare degli strumenti adeguati per sperimentare sé stessi in contesti del tutto nuovi e inaspettati.
Oltretutto, fare sport permette di migliorare la concentrazione e la creatività, acquisendo così una maggiore consapevolezza di sé e di ciò che siamo in grado di fare, limiti compresi. Alla base di tutto ciò c’è l’impegno a crearsi degli obiettivi per poterli raggiungere con le proprie forze e, nel caso di insuccesso, saper accettare la sconfitta e andare avanti, proseguendo lungo il proprio percorso senza arrendersi alle prime difficoltà.
Praticare uno sport aiuta la persona sia normodotata che con disabilità a mettersi in gioco in contesti sociali veramente importanti, fatto di relazioni, socialità e ‘gerarchie’. Sul lato sportivo, ad esempio, l’individuo comincia a comprendere l’importanza di far parte di un team, di ascoltare i consigli di un allenatore, di consapevolizzare l’importanza di rispettare le regole e di cogliere il valore della disciplina. Sul lato puramente umano, invece, la persona si mette in gioco nella costruzione di nuovi rapporti sociali, che lo aiuteranno anche nella co – costruzione di una sua identità personale.
La dimensione tecnica e psicosociale si intrecceranno costantemente durante l’attività sportiva e saranno fenomeni che l’atleta, il tecnico e la squadra (nel caso di attività di gruppo) affronteranno insieme. In queste relazioni, infatti, si concretizzeranno sia l’apprendimento del gesto atletico, sia la possibilità per il disabile di sperimentare maggior confidenza nelle proprie capacità e la possibilità di interagire con altre persone. In questa prospettiva, quindi, è necessario che atleta e tecnico-squadra costruiscano un clima di lavoro positivo, improntato alla collaborazione reciproca e alla conoscenza delle caratteristiche individuali di ogni persona coinvolta. L’apprendimento del gesto atletico è un processo graduale ed è necessario che l’allenatore prepari la propria attività pensando di sostenere la persona a fare progressivamente proprie tutte le competenze necessarie, partendo dalle più semplici per poi aumentarne la complessità. Al contempo, è fondamentale che il tecnico sappia riadattare la propria programmazione per rispettare le possibilità, le capacità e i tempi di apprendimento del soggetto.

Proprio per tutto quello che si è scritto in precedenza la psicologia dello sport si integra con la disabilità come negli atleti normodotati. L’approccio si differenzia nell’utilizzo delle tecniche a seconda della persona, dell’atleta e della squadra ma, lo sviluppo e la dimensione sul campo sono le stesse.
Ogni atleta con la propria dimensione nella disabilità può esprimere e realizzare sogni ed emozioni, sviluppare intelligenza sportiva per riuscire in ciò che spesso sembra irrealizzabile (vedi ultime paraolimpiadi…), alzando l’asticella fino a farla sfociare nel toccare il cielo con un dito, raggiungendo qualcosa che alla fine risulta possibile.
Infatti, il riconoscimento di noi stessi passa anche nel rispecchiamento verso queste persone, senza timore e sapendo che la normalità sta nella disabilità come la disabilità sta nella normalità e che se lo sappiamo allora il tutto diventa unico e speciale. E allora la domanda è cosa aspettiamo a farne la quotidianità? … l’ardua sentenza ai posteri …

Un ringraziamento speciale all’Avvocato Tania Busetto e ad Alberto Cristani per la collaborazione. Un grazie speciale a Christian Leon per condiviso con noi il suo tempo speciale e il suo contagioso sorriso.