Eric Benedusi è un ragazzo che all’età di trentasei anni ha deciso che la sua vita non era più soddisfacente. Nato il 30 dicembre del 1980 in provincia di Verona, Eric ha vissuto per quasi 25 anni in provincia di Mantova tranne una breve parentesi dove la mia famiglia ha deciso di emigrare in un piccolo paese della provincia di Rovigo. Si è trasferito poi in provincia di Brescia, sponda inferiore del Lago di Garda. Per 12 anni, per lavoro, ha girato il mondo spiegando ai clienti il funzionamento del sofware prodotto dalla ditta per cui lavorava. Poi, però, qualcosa si è rotto. Lavoro fisso, vita tra sport, amicizie e divertimento. Insomma, tutto nella norma. Tutto perfetto. Ma proprio questa perfect zone, gli ha fatto scoccare la scintilla e gli ha aperto gli occhi verso il mondo.
Come Martin Luther King che nel 1963 enunciò il suo “I have a dream” inseguendo un diritto di uguaglianza e libertà anche io sento il bisogno di riprendermi qualcosa che ho perso. Ora per me non si tratta di razzismo ma di libertà si. Quella libertà che barattiamo con il nostro tempo e denaro. L’amato denaro che poi spendiamo per ricomprarla. Lo slogan del mio viaggio sarà “I have a trip” perché non tutti i sogni sono destinati a rimanere in un cassetto.
Così Eric annunciò la sua decisone sul suo sito dedicato ihaveatrip.net
Doveva essere un viaggio di due anni. A fine agosto di anni ne saranno trascorsi cinque ed Eric (forse) sarà tornato alla base. Gusto il tempo di ricaricare le batterie (o di ri-annoiarsi), rifare i bagagli e ripartire con un nuovo trip. Eric, il giramondo sportivo, ci ha raccontato in questa intervista la sua esperienza, cadenzata da eventi, persone e… sport!
Eric, tu sei uno ‘sportivo inside’: da dove nasce il tuo amore per lo sport?
«Ho iniziato da piccolo provando un po’ di tutto, forse più perchè ero spinto dalla mia famiglia che non dalle mie proprie passioni. Credo per questo, per anni, non ho mai trovato veramente uno sport che mi coinvolgesse a pieno: karate, nuoto, calcio, basket, corsa, tennis, sci di fondo. Con gli anni poi ho capito che sicuramente prediligo gli sport individuali a quelli di squadra e in generale dove non devo seguire orari per praticarli: la palestra come pesistica è stata quello che mi ha coinvolto per molti anni fino a quando è arrivato il motocross. Uno degli sport più faticosi di sempre ma che è riuscito a prendermi totalmente. Per me lo sport è sempre stato una valvola di sfogo dal lavoro e anche per questo ho sempre preferito non praticare nulla a livello agonistico».
Quanto l’avere una mentalità sportiva ti ha spinto ad affrontare questa tua avventura? E quanto ti ha aiutato?
«Lo sport è disciplina, volontà, costanza. Portare a termine un viaggio di 5 anni segue queste basi e sicuramente una mentalità sportiva mi ha aiutato a continuare a viaggiare e a credere nel sogno che stavo ricorrendo nonostante le diverse ma costanti problematiche. Non solo a livello mentale ma anche a livello fisico quando sono capitate giornate dove bisognava camminare per più di 20 km sia col caldo infernale del deserto che col freddo dei paesi scandinavi in inverno. In Myanmar ho affrontato un trekking dove, caricato dei miei 25Kg di zaino, ho camminato sotto la pioggia per 41Km. Praticamente una maratona ma zavorrato. Mentalmente mi è servito molto un background sportivo e avere la consapevolezza che spesso, se mentalmente un obiettivo è possibile, lo è anche fisicamente»….